L'ombra di Micieli

di Nunzio Di Giacomo    

Sono incerto tra un portoncino e l'ampio portone di una rimessa. Mi decido per questo. Guardo attraverso un vetro  appannato: eccolo, è lui. Mi volta le spalle e sta curvo  su una statuetta che sembra bisbigliargli qualcosa all'orecchio.  Ora che le si è seduto di fronte, posso guardare  il suo profilo: il volto è acceso e piuttosto stanco. A parte  qualche increspatura sulla fronte e agli angoli della bocca,  i lineamenti sono ancora quelli di una volta; e così  anche i baffetti. La statuetta, posata sopra un piedistallo  di legno, è di argilla grigia: una fanciulla nuda, sognante  e sensuale, che si gode il sole piegata sul ginocchio sinistro,  le braccia allacciate attorno alla gamba destra.  Forse per mimesi, anche lui ha preso un'aria "sognante  e sensuale".  Qualche colpetto al vetro.  Viene ad aprirmi, le gambe leggermente divaricate, il  corpo piegato sul busto per via della lombaggine cronica.  Disordine nella rimessa-laboratorio: statue e statuine  patinate di polvere e vecchiume; blocchi di pietra, calchi di gesso, tronchi di legno, piedistalli, palchetti; su  una parete, un vecchio armadio ed un pannello con una  batteria di bulini per l'incisione del legno. In un angolo,  un vano con una scala di crudo cemento che porta in un  ambiente sottostante.

Giuseppe Micieli, nel laboratorio di scultura

- Vieni, - mi dice Micieli - quello che voglio mostrarti  è al piano di sopra.  Vede che guardo la scala che porta al piano di sotto.  - C'è poco da vedere là sotto, un deposito di cose vecchie.  - Vorrei darci un'occhiata.  Aveva ragione, "un deposito di cose vecchie": roba affastellata  agli angoli, sulle pareti, su scaffali sgangherati e  polverosi. Dalle macerie sbucano teste, busti di ogni colore e dimensione, come se volessero emergere dal caos  e tornare a vivere sotto il cielo. Volti e figure che sorpresi  dalla luce della lampadina si affrettano a proporre un antico dialogo prima di tornare prigionieri del buio e del  silenzio: due ragazzine di terracotta sedute su una panchina  attendono qualcosa con aria preoccupata; un suonatore  di cornamusa accosciato sulle gambe, a furia di soffiare finisce per diventare l’otre stesso del suo strumento;  un cavaliere medievale e la sua cavalcatura sprizzano dalle loro armature la forza tagliente del cemento  armato e della pietra lavica di cui sono fatti.  Come se deponessi un fiore su una tomba dimenticata,  passo la mano sui volti fuligginosi delle due derelitte.  Vorrei guardare ancora, ma stento a farmi strada. II mio  piede urta contro qualcosa di duro: addossato alla parete, un blocco di pietra comisana rosa dal tempo, dal sudiciume  e dalla polvere. Mi chino a guardare: un abbozzo  di pietra? ... Si, è così: un'afflitta Madonna si porta rovesciato addosso un lungo ed ossuto Cristo, totalmente  sprofondato nell'inerzia della sua morte. Prigionieri  per sempre del loro grembo di pietra.  - Perché? - domando al mio amico, indicandogli il lavoro  incompiuto.  - Roba di quarant'anni fa, - mi risponde - ero appena  un ragazzo; non ce l'ho fatta ... o forse mi piaceva così:  sul punto di nascere, in bilico tra il buio e la luce,  tra l'essere e il non essere.  Gli occhi mi prudono, forse per la poca luce o forse per la polvere che solleviamo.  - Andiamo via di qua, - mi dice Micieli, prendendomi  per un braccio - andiamo su nello studio.  

Giuseppe Micieli

LO STUDIO.  

La luce che piove dal lampadario e dai faretti è trafitta  da una selva di statue di ogni dimensione, che dai loro  supporti si ergono verso il soffitto. L'aria è tutta vibrante  di luci, colori, forme, dimensioni.  - Introibo altare Dei - dico scherzando.  - E sei in tema, - mi risponde il mio amico - prova a  voltarti.  Dietro le mie spalle, sulla parete, la foto enorme di un  Cristo crocifisso. Un insolito Cristo, che ha finito di soffrire e ha trovato nell'ultimo spasimo la forza che gli fa sollevare gli occhi, la testa, il petto verso il cielo che lo attende.  Accanto, una serie di disegni con piante orridamente sradicate da chissà quale cataclisma. Emblemi della violenza, della distruzione e della morte; ma anche di un  tremendo destino che incombe su tutti.  Ed ecco Adamo ed Eva, visti di spalle: sgomente creature rannicchiate su se stesse, incapaci d'intendere perché  si ritrovano nude e senza difesa fuori dal loro paradiso, in  un tetro paesaggio roccioso, sotto un cielo carico di nubi.  Torno alle statue e riconosco alcune forme intraviste laggiù, tra le macerie: potenti cavalcature e tremendi cavalieri di cemento armato che da ogni molecola sprigionano violenza e morte; monumentali pastori che dalla cima delle loro nude cave scrutano il cielo come per leggervi il loro misero destino; donne in nero che da una scogliera aspettano di veder comparire tra i marosi un segno di vita che metta in fuga il presagio della catastrofe e dalla morte. E torna il tema degli aspettanti e dei derelitti: seduti su panchine di eterni luoghi di sosta,  attendono, senza speranza ormai, qualcosa che non verrà; emblemi di un'umanità tradita, priva di sostegno  e di salde radici in un mondo ostile che la rigetta.  

Ma mi sento rianimato davanti a queste snelle fanciulle  di bronzo o di legno levigato: si ergono dai loro piedistalli  tese nella sforzo di staccarsi dalla terra per decollare come siluri nella spazio. Simboli di un'umanità eletta e privilegiata, che vince le resistenze del mondo e trionfa sul male.  Mi allungo su una sedia a sdraio e socchiudo gli occhi.  Sono stordito e confuso: nel breve spazio di una stanza una così intensa concentrazione di luci e colori, forme e  dimensioni!  ... e quest' esplosione di forze che premono il suolo o si scatenano verso il cielo! ... Seguo con gli occhi il mio amico che si muove a piccoli  passi per la stanza. Sta riordinando i disegni che mi ha mostrati. Ora ha tra le mani una grande foto in bianco e nero; se la dispone davanti agli occhi e la osserva con un lieve sorriso che mi pare malizioso. Fa per ricollocarla nel suo album.  - Un momento! - gli dico - posso vedere quella foto?  - Ne hai già visto una analoga ...  Prendo in mano la foto: ha ragione il Cristo in croce di poco fa. Con l'aggiunta, questa volta, di Micieli stesso,  colto dall'obiettivo nell'atto di modellare il collo del Cristo. Non sto guardando il Cristo, bensì il suo modellatore: la testa ed il braccio tesi verso I'alto, il corpo eretto sulla punta dei piedi, sembra anche lui, come il suo Cristo,  sul punto di staccarsi dalla terra.   - E il tuo mal di schiena? - scherzo indicandogli la foto.  – E’ rimasto in terra - replica scherzando a sua volta.  Torno alla mia sdraio.Non c’è dubbio, c'è rispondenza  tra la sua persona e le sue figure: ora massicce e abbarbicate al suolo, come quei cavalieri a cavallo, o quei voluminosi  pastori, o quelle donne disperate sulla scogliera;  ora smaterializzate e pervase di spirito mistico, come quel Cristo in croce, o quella salvatrice sospesa nell'aria, o quella bagnante con i lunghi capelli appiccicati  sulla schiena. Così la sua persona: ora gravemente piantata  sulla terra, come quelle figure di pietra lavica e cemento armato, ora rivolta al cielo come quelle altre che  anelano allo spazio.  Vedo, attraverso due sottili fessure delle mie palpebre, un'ombra sulla parete. Non ci avevo fatto caso: è l'ombra ingrandita della bagnante, un'ombra che potrebbe  pure essere quella di una creatura vivente. Di fronte, l'ombra di Micieli, che di profilo contempla la sua opera; un'ombra che pure potrebbe essere quella di una statua.  Alla pari, mi viene da sorridere. Sia pure per qualche  istante, sono cittadini alla pari di un mondo di proiezioni,  un mondo effimero ed inoffensivo, sottoposto alla  sola legge dell'imminenza del trapasso.  Si, mi pare che tutto sia chiaro. Il mio amico imprigiona in pesanti blocchi di pietra o di cemento armato il male dell'esistenza, mentre fornisce di ali mistiche il legno od il bronzo della liberazione dalle sofferenze del mondo e dal dramma della vita. 

(12 maggio 1981, pubblicato sul catalogo della Mostra "Micieli, Opere 1940 - 1990" Edizioni Salarchi immagini, tenutasi a Comiso nel Foyer del teatro comunale nel 1998)  


Giuseppe Micieli modella il Cristo Crocifisso